Boccaccio e Il Falò

Ecco la bellissima poesia di Giuseppe Scolese, un suo regalo per l’iniziativa Boccaccio e Il Falò

Poesia di Giuseppe Scolese

Il giorno di festa

Il giorno di festa nei campi aridi, secchi, asciutti e soli,

lacerati dai viandanti di città che vengono il fine settimana

per imbrogliare la noia di una settimana ingrata.

Il contadino con la falce non esiste più, la luna ha dismesso

gli abiti del tempo per seminare e quello per raccogliere,

le piccole mele esauste cadono

con un tonfo sordo.

Dove sono le belle storie dei vecchi, le lucciole ubriache

di luce,

i mosconi fastidiosi, le belle cicale, i grilli e i piccoli uccelli?

Dove gli innocenti occhi dei bambini catturano le lucertole,

sembra un gioco per loro, la sofferenza della coda persa,

eppure non è un gioco,

ogni piccola vita è un intero universo.

Ogni minuto è un presagio, un passaggio di vento,

un sospiro, un sorriso generoso, una meteora caduta

nel paradiso degli dei.

Il Dio che semina la pioggia è passato in silenzio, e nessuno

l’ha visto.

“Seduto sull’erba un bambino, le mani ripiegate in grembo,

fu in quell’attimo fuggente, che lo prese la meraviglia.

Sentiva salire in petto, un fuoco che non brucia,

ma s’irradia prepotente fino al cuore.

Qui è il suo posto, la casa dopo il lungo viaggio.

E cominciò ad amare i fili d’erba, a ringraziare i fiori per il loro

profumo, e provò compassione per quel fiore che una mano

reciderà, per l’insetto fastidioso che qualcuno ucciderà.”

Questo è trovato scritto, sul muro di una cascina,

come un geroglifico antico, un foglio perduto

da un bambino.

E voi che nel giorno di festa, non sapete che fare,

e vagate dubbiosi per i campi, lasciatevi sedurre

dalla meraviglia,

ritrovate il vostro antico spirito della semplicità, raccogliete

un filo d’erba e soffiate in lui il vostro umile respiro.

Allora forse le radici della vostra carne saranno unite

alla vostra anima, e le cose che non si possono vedere

con gli occhi,

e i sentieri nascosti, e le rogge cosparse dall’erba,

e i ricordi perduti nei cassetti segreti, non saranno più

oscuri silenzi, e non sarete più ciechi alla luce.

Risvegliate il bambino che in voi ancora trema per i vostri

adulti capricci, per le vostre maledette paure,

io vi dico:- vivete!

Come angeli? No, non come angeli, ma più che angeli,

vivete come si vive un abbraccio dato al tuo compagno

nel cammino, come anche a quello incontrato per caso

sullo stesso sentiero.

E quanto avrete nei polsi duri e forti, le carezze e forza

per aiutare, non nascondete nulla, non vi

appartate coi

vostri bambini che hanno perso la luna.

Domandate loro cosa vogliono dal destino

una casa vecchia con un giardino,

o una vita di stupore e meraviglia?

La risposta la sa bene il bambino che eravate allora!

e la sapete bene pure ora, dunque non imbrogliateli, ma soprattutto

non imbrogliatevi, non è bello fare brutta figura.

Fate quando come si chiude il proscenio, e dietro le quinte,

portate le vostre miserie nascoste, ma solo quel tanto che

il compagno vedendo una matita, un colore, un foglio,

un libro, una sedia, uno scanno, una trottola, la ruota che gira,

il vecchio gilera da riparare, il piccolo falegname

o il meccano,

il compagno esclami:- Gesù ma non è cambiato

proprio niente! E allora giochiamo!

Divina è la terra e tutto ciò che contiene, io sono divino,

la marmotta, il topo innocente, il pettirosso, il gatto felino

ogni anima che necessita di un respiro,

e ogni roccia e sasso e metallo, e fiore ed erba,

e cucciolo di animale e di fiore e di erba, e ogni più piccolo

grano di sabbia, tutto è divino e assolutamente buono.

Da quando hai varcato il confine fra il tuo petto sicuro,

e la forza di un pastore maremmano, e ai camminato

come in una falla del tempo, sospeso come il bruco

nella crisalide, attraversando il tunnel della notte sempre

più notte, hai veduto la paura di qualcosa che non hai

ancora. Il futuro.

E forse hai una compagna semplice, e dei figli che non conosci

ancora, e una cerchia di amici tanto per, e non hai un cuore

dove appoggiare il tuo capo, e sapere che lì sei al sicuro.

Ma la vedi ora, per la tua prima volta la terra! E come fai

a non amarla e a non averne paura?

Se chiudi gli occhi e la immagini è bella, ma se li apri è una

vecchia zitella.

La zitella non ama e non figlia, e terra morta, non frutta.

La terra invece è una famiglia feconda, vuoi sapere di quali

frutti s’adorna?

Zucche, fagioli, cavoli e cipolle, l’aglio medicamento strepitoso,

il peperone, le coste, il radicchio, la borragine, carciofi, cardi

salvia e rosmarino, lattuga, canasta, crauti, polenta e vino.

E tutti i frutti del paradiso.

Dice il contadino mancato, nei giorni di festa,

dice in segreto al suo cuore,

è mia questa terra che non ho saputo ascoltare, sono giunto

fino a lei passando per sentieri che non ho considerato.

Ma ho imparato ad ascoltare il più tenue fruscio di una foglia

che cade.

E ora so che quando cade una foglia, è tutto l’universo che cade.

Ma io non piango per questo, io per questo chiudo gli occhi e sorrido.

Mi chiamo Giuseppe Scolese, vivo a Busto Arsizio, non sono proprio un ragazzo anagraficamente, ho 65 anni, scrivo poesie da almeno 55 anni, brevi racconti, dialoghi teatrali e faccio teatro da 17 anni. Vi mando questa mia poesia, e i miei saluti. ” Scrivere, leggere, recitare, sono cose preziose per chi vuol sempre imparare ” buona vita.